La sostenibilità nel settore veterinario: perché e come?
Cambiamento climatico e professione veterinaria: a che punto siamo e come possiamo agire?
Pubblicato il 09/05/2025
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La farmacologia veterinaria dei piccoli animali ha numerose implicazioni ambientali e di farmacoresistenza, anche se molti aspetti restano sconosciuti a causa della ricerca limitata.
Molti farmaci sono escreti nell‘urina o nelle feci; questi possono contaminare il terreno o infiltrarsi nei corsi d‘acqua, dove gli organismi esposti possono subire effetti negativi o diventare resistenti.
Sebbene la maggior parte dei farmaci abbia bassa tossicità acuta, la loro forma biologicamente attiva può esercitare effetti cronici a basse dosi.
Le “sostanze chimiche eterne” possono accumularsi nell‘acqua, nel suolo e negli organismi biologici, sollevando preoccupazioni sul loro potenziale danno per la salute umana.
Qualsiasi esposizione agli antibiotici impone una pressione selettiva che stimola la diffusione dei geni della resistenza all‘interno della popolazione microbica.
Negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza degli effetti che i farmaci utilizzati nei pet possono avere sull‘ambiente e sullo sviluppo di resistenza ai loro effetti. Questo è il primo di una serie di tre articoli che descriveranno le implicazioni di questa contaminazione ambientale e dello sviluppo di resistenza. Il secondo articolo esaminerà come questi farmaci possano essere gestiti più attentamente nella pratica, mentre l‘articolo finale suggerirà quali misure adottare in futuro per salvaguardare l‘efficacia di questi farmaci, proteggendo al contempo l‘ambiente.
In molti luoghi sono state individuate tracce di farmaci veterinari utilizzati a scopo terapeutico negli animali. Poiché si tratta di composti biologicamente attivi progettati per interagire con le vie biochimiche, le implicazioni di tale contaminazione potrebbero essere significative. Per esempio:
La contaminazione ambientale causata dai prodotti farmaceutici per uso umano sta emergendo come un problema globale; un ampio studio sui fiumi di tutto il mondo ha dimostrato che questi contaminanti rappresentano una minaccia per gli ecosistemi o per la salute umana in oltre un quarto dei 258 fiumi studiati (1). Fino a poco tempo fa, il rischio di contaminazione ambientale dovuta ai farmaci utilizzati nei pet era considerato trascurabile (2). Tuttavia, un numero crescente di ricerche sta mettendo in discussione questa ipotesi. Studi condotti nel Regno Unito hanno collegato l‘inquinamento diffuso delle acque dolci ai pesticidi fipronil e imidacloprid utilizzati nei parassiticidi topici per pet, e sono stati identificati molteplici canali di comunicazione verso i corsi d‘acqua principali, incluso il passaggio attraverso gli scarichi delle abitazioni e direttamente dai cani che nuotano in corpi d‘acqua all‘aperto (3-5) (Figura 1). Le preoccupazioni relative alla contaminazione ambientale non si limitano ai corsi d‘acqua, poiché è stata riscontrata un‘elevata prevalenza di questi parassiticidi nei nidi rivestiti di pelo degli uccelli (Figura 2), e la loro presenza è stata dimostrata anche nelle abitazioni dei pet trattati (6).
Figura 1. Fipronil e imidacloprid sono estremamente tossici per un‘ampia gamma di invertebrati acquatici e terrestri, che svolgono un ruolo cruciale in molte funzioni dell‘ecosistema; è stato dimostrato che i cani che nuotano in corsi d‘acqua all‘aperto sono responsabili della riduzione di invertebrati, probabilmente a causa delle sostanze chimiche utilizzate come parassiticidi che passano dal mantello del cane all‘acqua. © Ian Ramsey
Finora, la ricerca si è concentrata principalmente su fipronil e imidacloprid, lasciando lacune nella nostra comprensione della contaminazione ambientale causata da altri farmaci utilizzati nei piccoli animali. Sono ancora poco studiati potenziali vie di contaminazione, in particolare l‘entità della contaminazione ambientale attraverso urina e feci. Molti farmaci veterinari, compresi antibiotici e parassiticidi di uso molto comune, sono escreti immodificati o come metaboliti nell‘urina o nelle feci (7). Queste sostanze possono contaminare il terreno o infiltrarsi nei corsi d‘acqua, dove gli organismi esposti possono subire effetti negativi o diventare resistenti. Il monitoraggio ambientale, in particolare del suolo in cui questi composti possono accumularsi, è quasi del tutto assente; pertanto, la portata reale dell‘inquinamento causato dai farmaci rimane poco compresa; inoltre, capita spesso che non vengano eseguite valutazioni dettagliate del rischio ambientale prima di fornire ai farmaci l‘autorizzazione regolatoria (8).
Figura 2. È stata riscontrata un‘elevata prevalenza di parassiticidi veterinari nei nidi degli uccelli che sono rivestiti di pelo, e la maggiore mortalità dei pulcini è stata associata alla contaminazione dei nidi con fipronil e imidacloprid. © Fotografia per gentile concessione di Frances Barr
La contaminazione ambientale può avvenire anche indirettamente, attraverso il rilascio nell‘ambiente di organismi resistenti agli antimicrobici. Gli studi hanno dimostrato che le feci degli animali da compagnia ospedalizzati, e il rispettivo ambiente ospedaliero, contengono livelli relativamente elevati di Escherichia coli, che mostra resistenza a molti importanti antibiotici, tra cui l‘amoxicillina - clavulanico, i fluorochinoloni, e le cefalosporine di terza generazione. Uno studio ha scoperto che 11 delle 97 acque balneabili del Regno Unito contenevano E. coli antibiotico-resistente, e che i surfisti avevano un rischio di colonizzazione maggiore rispetto ai non surfisti (Figura 3) (9). Lo stesso studio ha stimato che, in un anno, nel Regno Unito, si svolgono oltre 2,5 milioni di sessioni di sport acquatici che comportano l‘ingestione di almeno un E. coli antibiotico-resistente. L‘evidenza crescente suggerisce quindi che la contaminazione ambientale possa svolgere un ruolo significativo nello sviluppo e nella diffusione della resistenza agli antibiotici.
Figura 3. È emerso che i surfisti hanno un rischio maggiore di colonizzazione da E. coli antibiotico-resistente rispetto ai non surfisti; si stima che, in un anno, nel Regno Unito, oltre 2,5 milioni di sessioni di sport acquatici comportino l‘ingestione di almeno un E. coli antibiotico-resistente. © Shutterstock
La presenza di organismi resistenti agli antibiotici nell‘ambiente, così come nell‘ambito clinico, è stata favorita dal loro ampio uso in sanità umana e animale. La frazione attribuibile alla popolazione (il contributo di qualsiasi particolare fattore di rischio [ad es. contaminazione ambientale] a una malattia [ad es. infezione multifarmaco-resistente]) può essere utile per determinare il rischio per la salute derivante da una particolare fonte. Il rischio relativo derivante dalle fonti ambientali non è stato calcolato, sebbene esistano meccanismi attraverso cui basse concentrazioni ambientali di antibiotici possono contribuire alla farmaco resistenza.
I patogeni resistenti possono derivare da una mutazione de novo o dall‘acquisizione di materiale genetico da altri batteri, compresi i commensali non patogeni (trasferimento genico orizzontale). Inoltre, l‘esposizione a un livello sub-inibitorio di antibiotico può indurre resistenza adattativa (10), e il meccanismo coinvolto può riflettere la modulazione dell‘espressione genica prodotta dal cambiamento ambientale (11). I batteri tornano solitamente al fenotipo non resistente una volta rimosso il segnale induttore, poiché il mantenimento di questi meccanismi di resistenza ha un costo (10); tuttavia, l‘aumento graduale nel tempo delle concentrazioni inibitorie minime può derivare da una maggiore resistenza adattativa, evidenziando così i pericoli della contaminazione ambientale.
Rosemary Perkins
Sebbene la maggior parte dei farmaci abbia bassa tossicità acuta, la loro formulazione biologicamente attiva esercita effetti cronici a basse dosi, e la contaminazione ambientale da parte dei farmaci comporta rischi per gli organismi non target e gli ecosistemi. Ad esempio, l‘esposizione cronica ad alcuni farmaci steroidei umani (ad es. gli estrogeni) è stata collegata alla compromissione dei meccanismi riproduttivi in popolazioni di pesci selvatici (12). L‘inquinamento da antibiotici negli ambienti acquatici può ridurre la diversità microbica complessiva, compromettere il ciclo del carbonio e aumentare la frequenza delle specie batteriche tossiche, come Cyanobacteria spp., oltre a produrre eutrofizzazione (il processo con cui un corpo idrico diventa troppo ricco di nutrienti, causando una crescita eccessiva delle forme di vita vegetale semplici come le alghe) negli ambienti di acqua dolce (13). I parassiticidi sono particolarmente preoccupanti perché sono progettati per uccidere gli invertebrati a concentrazioni molto basse e, spesso, persistono nell‘ambiente. Alcuni di essi, come fipronil e isossazoline, sono classificati come sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (PFAS) data la presenza di gruppi metilici fluorurati nella loro struttura chimica. Le sostanze chimiche a base di PFAS, note anche come “sostanze chimiche eterne”, sono in grado di accumularsi nell‘acqua, nel suolo e negli organismi biologici, sollevando preoccupazioni sul loro potenziale danno per la salute umana (14). Tra i parassiticidi per piccoli animali, fipronil e imidacloprid sono quelli che hanno ricevuto la massima attenzione per quanto riguarda i residui e i rischi ambientali; un ampio monitoraggio tramite indagini ambientali, e la ricchezza delle ricerche ecotossicologiche che li riguardano derivano in gran parte dal loro storico utilizzo agricolo prima dell‘entrata in vigore di normative più stringenti. Entrambi i composti sono estremamente tossici per un‘ampia gamma di invertebrati acquatici e terrestri che svolgono un ruolo essenziale in molte funzioni dell‘ecosistema, come la decomposizione e il ciclo dei nutrienti, oltre a servire da alimento per un‘ampia gamma di specie. Fipronil e imidacloprid possono essere tossici anche per alcune specie di vertebrati (in particolare uccelli e pesci), e possono esercitare effetti subletali, come comprometterne la crescita e il successo riproduttivo (Figura 2) (15). A causa del presupposto per cui l‘esposizione ambientale sia trascurabile secondo l‘attuale quadro regolatorio internazionale , sono state condotte poche ricerche su emissioni ed ecotossicità della maggior parte dei farmaci veterinari destinati all‘uso negli animali da compagnia.
Esiste anche preoccupazione per i potenziali rischi per la salute dei professionisti veterinari e dei proprietari derivanti dall‘esposizione cronica e ripetuta ai parassiticidi topici. L‘esposizione cronica ai pesticidi è associata a una serie di malattie, tra cui patologie neurodegenerative come il morbo di Parkinson e il cancro, e livelli di esposizione anche bassi possono avere un impatto negativo sullo sviluppo precoce dei bambini (16). La presenza di residui di fipronil e imidacloprid è stata dimostrata sulle mani di persone che ne vengono a contatto per almeno 28 giorni dopo l‘applicazione (6), ma nessuna ricerca ha indagato i potenziali impatti sulla salute di questa esposizione o dell‘esposizione ad altri parassiticidi topici, come fluralaner, moxidectina o selamectina.
Gran parte dell‘attenzione è stata rivolta all‘uso medico veterinario degli antibiotici e dei parassiticidi, e al loro effetto sull‘ambiente nonché ai livelli di resistenza. Tuttavia, anche altri farmaci possono rappresentare una minaccia: ad esempio, i farmaci chemioterapici antineoplastici vengono spesso escreti nell‘urina e nelle feci degli animali. Ciò comporta il rischio di esposizione professionale nell‘ambiente ospedaliero; inoltre, quando gli animali tornano a casa dopo il trattamento, è probabile che il loro ambiente sia esposto a questi agenti, anche se lo smaltimento delle feci è accurato. Sebbene quasi tutti gli agenti antineoplastici siano utilizzati nella salute umana, è noto il ruolo delle specie veterinarie in questa dispersione; ad esempio, nei centri di oncologia umana e veterinaria è stato osservato il trasferimento del platino da parte dei lavoratori al di fuori delle aree in cui venivano maneggiati tali farmaci (17).
Fergus Allerton
Qualsiasi esposizione agli antibiotici favorisce la selezione di organismi resistenti e impone una pressione selettiva che stimola la diffusione dei geni della resistenza all‘interno della popolazione microbica. I batteri resistenti e i geni di resistenza circolano nell‘ecosistema, rappresentando una minaccia persistente per la salute umana e animale. L‘aumento della resistenza agli antibiotici riduce l‘efficacia del trattamento, aumentando il tasso d‘insuccesso e la gravità dell‘infezione (18). La riduzione delle alternative terapeutiche aumenta la probabilità di eventi avversi e accresce la morbilità e la mortalità del paziente. Circa il 60% di tutti i patogeni umani e fino al 75% delle malattie emergenti che colpiscono l‘uomo ha origine zoonosica (19) e l‘uso degli antibiotici negli animali può portare allo sviluppo di resistenza nei patogeni zoonosici. In effetti, negli animali da compagnia sono stati documentati molti batteri multifarmaco-resistenti ed è stato registrato il loro trasferimento alle persone (20).
Contrariamente all‘antibioticoresistenza, la resistenza ai parassiticidi nei piccoli animali è un fenomeno ancora poco segnalato, ed esistono numerose cause potenziali. La resistenza può svilupparsi lentamente nei parassiti dei piccoli animali a causa dell‘esistenza di ampie popolazioni di questi organismi nelle oasi faunistiche (21), di pratiche di allevamento significativamente diverse (ad es. livello individuale vs livello di comunità), e dell‘intensità di somministrazione di parassiticidi. Nei casi in cui la resistenza ai parassiticidi interessa i piccoli animali, questa potrebbe non venire identificata, soprattutto nel caso degli endoparassiti, poiché le infestazioni possono essere asintomatiche e l’animale dunque non essere monitorato (22). Nel caso delle pulci, l‘insuccesso del trattamento viene spesso attribuito a fattori operativi, come un‘applicazione impropria o il mancato rispetto delle istruzioni riportate sull‘etichetta; tuttavia, senza ricerche sufficienti per confermare o escludere definitivamente la resistenza, è possibile che non venga rilevata. La sorveglianza di routine per la resistenza ai parassiticidi dei pet è praticamente inesistente ad oggi nel mondo, e sono estremamente limitati gli studi sul campo su cani e gatti (22).
Ian Ramsey
Tuttavia, sta emergendo lentamente un‘evidenza relativa alla resistenza agli endoparassiticidi nei piccoli animali. Nei levrieri da corsa sono stati descritti isolati di anchilostomi (Ancylostyma caninum) multifarmaco-resistenti, e la resistenza al fenbendazolo in A. caninum è ora ampiamente distribuita nella popolazione canina degli USA (23). Analogamente, la resistenza a pirantel e benzimidazolo da parte di A. caninum è ormai diffusa in tutta l‘Australia (24). Negli USA è stata descritta anche resistenza a praziquantel del cestode Dipylidium caninum, e il primo caso di sospetta resistenza è stato recentemente segnalato in Europa (25).
Anche lo sviluppo di resistenza agli ectoparassiticidi è motivo di preoccupazione; negli ultimi anni è stata segnalata la resistenza a più acaricidi, tra cui il fipronil, nelle zecche che colpiscono i cani in diversi Paesi, tra cui Brasile, USA e Thailandia (Figura 4). Le pulci sono resistenti a molti dei parassiticidi più datati, tra cui carbammati, organofosfati, piretroidi, piretrine e organoclorurati (21), ma è stata anche segnalata resistenza agli ectoparassiticidi più moderni, con la resistenza a fipronil dimostrata sia nei ceppi di campo che in quelli di laboratorio (21). Le segnalazioni di una mancanza di efficacia diffusa di fipronil riflettono la crescente preoccupazione che lo riguarda (26, 27), ma la mancanza di una sorveglianza di routine rende difficile comprendere la portata reale della resistenza ai moderni ectoparassiticidi nelle popolazioni di pulci. È quindi necessario migliorare la sorveglianza per valutare e mitigare la resistenza emergente ai parassiticidi dei pet.
Figura 4. In molti Paesi è stata segnalata la resistenza a più acaricidi, tra cui il fipronil, nelle zecche e nelle pulci che colpiscono i cani. © Ian Ramsey
I farmaci veterinari, in particolare antibiotici e parassiticidi, contribuiscono alla contaminazione ambientale e allo sviluppo di resistenza, rappresentando rischi per gli ecosistemi e per la salute umana e animale. Nonostante la consapevolezza crescente, restano notevoli lacune nella conoscenza, in particolare per quanto riguarda i canali di inquinamento e i meccanismi di resistenza. Per affrontare questi problemi sono necessari un monitoraggio ambientale e della resistenza, pratiche di prescrizione responsabili, e una ricerca continua per proteggere sia l‘efficacia farmacologica sia l‘integrità ambientale.
Perkins Rosemary
La Dr.ssa Perkins è medico veterinario e ricercatrice presso l’University of Sussex Scopri di più
Fergus Allerton
Il Dr. Allerton ha conseguito la laurea all’University of Bristol nel 2004 Scopri di più
Ian Ramsey
Il Dr. Ramsey è docente in Medicina dei piccoli animali alla Facoltà di Medicina veterinaria della Glasgow University Scopri di più
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