Screening precoce per l'ematuria felina
Oggi, è possibile effettuare lo screening precoce dell'ematuria felina...
Numero 29.2 altro: scientifici
Pubblicato il 12/09/2019
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La terminologia è importante quando si parla di problemi urinari nel cane, poiché facilita una chiara comprensione dei processi patologici e aiuta nel processo decisionale diagnostico e terapeutico, come descrive J. Scott Weese.
La malattia delle basse vie urinarie è una condizione comune e potenzialmente problematica; una definizione corretta aiuta nel processo decisionale diagnostico e terapeutico.
La vescica era precedentemente considerata un sito sterile, mentre ora si ritiene che, di norma, i batteri possano entrare e uscire dalla vescica routinariamente.
La malattia delle vie urinarie ricorrente può essere difficile e frustrante da trattare, ed è essenziale determinarne le cause per ottenere un successo clinico a lungo termine.
È ormai generalmente riconosciuto che la batteriuria subclinica nei cani non richiede di norma alcun trattamento.
La malattia delle vie urinarie è un problema comune nei cani e una delle ragioni principali dell'uso di antibiotici. Oltre ai problemi legati al benessere del paziente, le infezioni possono essere problematiche a causa dei costi, della frustrazione del proprietario e delle potenziali complicanze (es. urolitiasi da struvite). Questi problemi possono essere connessi, nel cane, ad infezioni ricorrenti o scarsamente responsive alle terapie.
Data l'importanza della malattia delle vie urinarie nel cane, l'International Society for Companion Animal Infectious Diseases (ISCAID) ha preparato delle linee guida con le raccomandazioni relative a diagnosi, trattamento e prevenzione di questa condizione 1. Tali linee guida dimostrano la complessità della malattia delle vie urinarie nel cane e offrono preziosi consigli ai clinici che se ne occupano.
La terminologia può essere importante, poiché facilita una chiara comprensione e comunicazione del processo patologico e svolgere un ruolo nel processo decisionale diagnostico e terapeutico. È possibile utilizzare una varietà di classificazioni o descrizioni diverse (Tabella 1).
Infezione delle vie urinarie | Termine che può causare confusione poiché viene usato talvolta per indicare alternativamente la malattia o la batteriuria subclinica |
Batteriuria | Presenza di batteri nelle urine |
Cistite batterica | Termine più preciso che indica la presenza di un'infiammazione della vescica causata da un'infezione batterica |
Cistite ricorrente | Cistite batterica che si è presentata 3 o più volte nell'anno precedente |
Cistite refrattaria | Cistite batterica che non ha risposto al trattamento appropriato |
Infezione persistente | Recidiva clinica della cistite causata dallo stesso microrganismo, suggerendo che l'eliminazione del batterio non sia riuscita |
Reinfezione | Recidiva clinica della cistite a seguito dell'eliminazione riuscita del microrganismo originale, spesso rilevata dall'identificazione di una diversa specie batterica in una coltura successiva |
Batteriuria subclinica | Presenza di batteri nell'urina, in assenza di segni di malattia delle basse vie urinarie |
Non complicata | Termine utilizzato nella medicina umana per le infezioni che si verificano generalmente nelle donne giovani e sessualmente attive, senza altri fattori di rischio o anomalie evidenti. Questo potrebbe non avere analogie con i casi generalmente osservati nel cane, poiché è discutibile che si verifichino casi veramente non complicati; si scoraggia l'uso del termine. |
Complicata | Termine usato per descrivere infezioni ricorrenti, o infezioni in ospiti con comorbidità o altre complicanze (es. endocrinopatie). Tuttavia, essendo un gruppo vasto, il termine complicata non è di per sé sufficiente a guidare le decisioni diagnostiche o terapeutiche |
Tabella 1. Definizioni di riferimento rapido.
Infezione delle vie urinarie (UTI) è un termine comune; tuttavia, viene usato in modo variabile nella letteratura scientifica veterinaria, comprese le situazioni in cui è presente solo malattia delle basse vie urinarie 2 3, così come i casi in cui non ci sono segni evidenti di malattia, ma i batteri vengono rilevati tramite coltura o all'esame del sedimento 4 5 6 7. Ciò può causare confusione riguardo la pertinenza clinica dei risultati se la cistite non è differenziata dalla batteriuria subclinica, come discusso più avanti.
Data la potenziale confusione che ruota intorno al termine "infezione delle vie urinarie", la variabilità di utilizzo del termine e la necessità di concentrarsi sul processo patologico (es. la cistite), viene raccomandato di usare il termine "cistite batterica" in riferimento ad un'infezione batterica delle vie urinarie inferiori clinicamente manifesta 1.
Tradizionalmente, la vescica veniva considerata essenzialmente un sito sterile. Tuttavia, è ormai chiaro che non sia così. L’ipotesi più accreditata è che i batteri entrino ed escano dalla vescica di routine, un comportamento più comune nella femmina (a causa dell'uretra corta) e in alcune patologie (ad es. animali immunodepressi, con patologie del midollo spinale, o obesi). Oltre al movimento di singoli microrganismi dentro e fuori dalla vescica, quantità crescenti di dati supportano la presenza di un "microbiota urinario". Questo non è ancora riportato nel cane, ma studi nell'uomo con tecniche avanzate hanno identificato una popolazione microbica variabile nell'urina dei soggetti sani, così come in pazienti affetti da patologie del midollo spinale o nefropatia 8 9 10. È possibile identificare, nella vescica, un gran numero di batteri diversi, sebbene in numero minore e meno diversificati rispetto a sedi come, ad esempio, il tratto gastrointestinale. Restano da chiarire le dinamiche del microbiota, il suo ruolo nella malattia, e anche se sono presenti batteri vitali invece del solo DNA.
A prescindere dal fatto che i batteri siano nella vescica in modo transitorio e sporadico, o come parte del suo microbiota, prima ignorato, è chiaro che i batteri si riscontrano facilmente nella vescica del cane, anche senza evidenza di malattia delle basse vie urinarie. La prevalenza varia a seconda dello studio e della popolazione considerata, ma può essere elevata (Tabella 2).
Una modificazione nell'approccio alla malattia delle basse vie urinarie nel cane è stata imposta dal concetto che la batteriuria subclinica solitamente non richiede trattamento 1. Nell'uomo, sono stati compiuti sforzi sostanziali per ridurre il trattamento della batteriuria subclinica, dal momento che non esiste alcuna evidenza di necessità di terapia mentre ci sono preoccupazioni sulle resistenze antibiotiche, 11 12 13 14 15. Il trattamento della batteriuria subclinica in donne sane è stato associato ad un maggiore rischio di sviluppare UTI, rispetto ai soggetti di un gruppo controllo non trattati 16. Si è espressa preoccupazione per la possibilità che la batteriuria subclinica potesse progredire verso cistite, pielonefrite o urosepsi. Mancano tuttavia dati che supportino tale rischio nel cane. Vi sono pochi studi in letteratura, tuttavia la batteriuria non risultata associata all'outcome in cani paralizzati 17 o in femmine sane 18.
Popolazione | Prevalenza della batteriuria |
---|---|
Pazienti sottoposti a chirurgia elettiva ( 19 ) | 2,1% |
Cani trattati con ciclosporine ( 20 ) | 30% |
Cani trattati con glucocorticoidi ( 21 ) | 18% |
Iperadrenocorticismo ( 22 ) | 46% |
Diabetici ( 22 ) | 37% |
Cuccioli con enterite da parvovirus ( 23 ) | 26% |
Cuccioli sani ( 23 ) | 6,3% |
Obesi ( 24 ) | 13% |
Cani trattati con oclacitinib ( 25 ) | 3% |
Tabella 2. Prevalenze riportate per la batteriuria subclinica nel cane.
Inoltre, quando si considera la prevalenza della batteriuria subclinica, potenzialmente elevata in alcune popolazioni (ad es. cani diabetici, cani obesi, in terapia con farmaci immunosoppressivi) con però bassa incidenza di malattia delle basse vie urinarie o urosepsi in quelle popolazioni, la batteriuria subclinica appare generalmente come uno stato benigno. Pertanto, il trattamento della batteriuria subclinica non è generalmente raccomandato 26.
La classificazione della cistite batterica nel cane ha seguito spesso la terminologia umana: "semplice non complicata" o "complicata". Tuttavia, non è chiaro se tali definizioni siano appropriate. Nella migliore delle ipotesi, sono una semplificazione eccessiva della gamma di infezioni che si verificano. Nella peggiore, sono inaccurate e potenzialmente fuorvianti. Nell'uomo, le UTI "semplici non complicate" sono generalmente infezioni sporadiche in donne altrimenti sane, senza apparenti fattori di rischio a parte l'attività sessuale, e senza fattori sottostanti che potrebbero aumentare il rischio di insuccesso del trattamento. La maggior parte di queste infezioni si verificano in donne giovani sane e sessualmente attive, una popolazione che non ha un'analogia diretta con la maggior parte dei cani. Ciò non significa che nei cani non si abbiano infezioni non complicate. Piuttosto, non è chiaro cosa costituisca effettivamente un'infezione non complicata, e come (o se) questo ne modifichi il trattamento. Spesso, la diagnosi di UTI complicata porta a raccomandare automaticamente trattamenti antibiotici di durata maggiore (es. 28 giorni), cosa che potrebbe non essere sempre (o spesso) giustificata. Anche nei casi complicati, l'approccio deve essere diversificato. Ad esempio, un cane con infezioni ricorrenti causate da un'anomalia anatomica può essere predisposto ad avere una serie di infezioni non complicate che rispondono a trattamenti di breve durata. Secondo l'autore, è pertanto meglio evitare i termini complicata e non complicata, poiché possono dare origine a ipotesi o approcci non necessari.
In poche parole, sì. I pazienti con malattia ricorrente possono essere difficili e frustranti da trattare. Quando le infezioni riappaiono, determinarne il motivo è fondamentale per avere una possibilità di successo clinico a lungo termine. Ripetere il trattamento antibiotico invece di determinare la radice del problema è un approccio subottimale che può causare la ricomparsa della malattia e aumento dell’antibiotico resistenza a causa dell’esposizione ripetuta ai farmaci. Non sempre è possibile identificare una causa in tutti i pazienti con infezioni ricorrenti e, quand’anche tale causa venga identificata, non sempre è trattabile. Tuttavia, vale sempre la pena di provare a identificare la causa sottostante.
Determinare se le infezioni sono dovute alla mancata eliminazione del microrganismo responsabile (infezione persistente) o all'ingresso ripetuto di nuovi microrganismi nella vescica (reinfezione) modifica l'approccio diagnostico e terapeutico.
La risposta breve è “a volte”. Se si identificano ogni volta specie batteriche diverse, la reinfezione è evidente. Se è presente lo stesso batterio, ma con antibiogramma molto diverso (in particolare differenze in termini di resistenza basate sull'acquisizione o perdita di un gene, come la resistenza ai beta-lattamici), è probabile che si tratti di una reinfezione. Se si identifica lo stesso batterio con lo stesso antibiogramma, potrebbe trattarsi di un'infezione persistente o di una reinfezione con un ceppo simile, differenza che può essere stabilita solo attraverso la tipizzazione molecolare. Determinare quale sia lo scenario più probabile può ridurre l'elenco delle diagnosi differenziali e ottimizzare il piano diagnostico (Tabella 3).
Infezione persistente | |
Possibili cause | Approccio proposto |
Scarsa compliance da parte del proprietario | Discussione con il proprietario riguardo la sua compliance |
Sensibilità antibiotica erroneamente riportata | Revisione dei risultati della coltura, del farmaco selezionato e della dose prescritta |
Selezione impropria del medicinale | |
Dosaggio antibiotico improprio | |
Nidi in cui il batterio può eludere gli antibiotici (ad es. urolita, massa) | Imaging diagnostico |
Invasione della parete vescicale (specialmente con utilizzo di medicinali con minor attività tissutale, es. amoxicillina) | Cistoscopia |
Prostatite |
Reinfezione | |
Possibili cause | Approccio proposto |
Anomalia anatomica (congenita o acquisita, come ad esempio l'obesità) | Esame dell'apparato riproduttivo |
Soggetto immunodepresso (malattia o farmaci, comprese le endocrinopatie) | Esami ematologici |
Nefropatia (es. peso specifico urinario basso) |
Imaging diagnostico e cistoscopia |
Tabella 3. Potenziali cause e approcci alla cistite batterica ricorrente.
Nei cani, un forte sospetto di cistite batterica può sorgere dall'anamnesi e dall'esame fisico. Contrariamente ai gatti, dove la maggior parte dei casi di malattia delle basse vie urinarie non ha una causa infettiva, è ragionevole sospettare una cistite batterica in cani che mostrino segni clinici tipici (es. pollachiuria, stranguria, ematuria e/o disuria in assenza di segni extra-urinari). L'analisi delle urine dovrebbe sempre essere eseguita poiché si tratta di una misura diagnostica semplice, economica e utile (Figura 1). Il peso specifico urinario (USG) può fornire informazioni sulla funzionalità renale. Il Dipstick può identificare o confermare l'ematuria, fornire informazioni sul pH urinario e identificare anomalie potenzialmente significative come la glicosuria. L’esame citologico del sedimento urinario può contribuire a confermare la diagnosi attraverso la rilevazione di leucociti, eritrociti e batteri, e permette di identificare cristalli, cilindri o cellule anomale che potrebbero far sospettare, ad esempio, urolitiasi, nefropatia o neoplasie vescicali (Figura 2).
Sebbene sia preferibile affidarsi all'urinocoltura, una terapia empirica in cani al primo episodio di cistite batterica è giustificabile. Di solito, la coltura non è necessaria per confermare la diagnosi, quindi è importante per lo più per selezionare l'antibiotico. Quando la resistenza ai farmaci di prima linea è improbabile (es. un cane che non ha ricevuto trattamenti antibiotici recenti e una bassa prevalenza di resistenza antibiotica locale), la terapia empirica ha una elevata probabilità di successo. Quando aumenta la probabilità che sia presente un patogeno resistente, a causa di fattori correlati al cane o alla propria popolazione di riferimento, la coltura assume maggiore importanza. I campioni raccolti per minzione spontanea sono validi per la citologia del sedimento ma per la coltura è preferibile eseguire una cistocentesi. È stato osservato che i campioni raccolti per minzione spontanea in modo pulito possono fornire risultati simili alla cistocentesi se analizzati dal laboratorio entro poche ore e se si utilizza un cut-off di 100.000 UFC/ml 27. Il ritardo intrinseco che può verificarsi tra il prelievo del campione e il trattamento da parte del laboratorio, rende quest'opzione poco praticabile nella maggior parte degli scenari clinici, a meno che la coltura batterica non venga effettuata internamente. Pertanto, la cistocentesi deve essere considerata il gold standard quando serve un’urinocoltura.
Anche quando si utilizzano campioni ottenuti per cistocentesi, è importante interpretare in modo critico i risultati colturali. La contaminazione e la colonizzazione possono portare all'isolamento di batteri che non sono clinicamente pertinenti. Ogniqualvolta si identificano microrganismi multipli, si deve cercare di capire quale è più probabile sia l'agente responsabile, poiché non è sempre necessario trattare tutti i batteri rilevati. Quando si identificano batteri che di solito non sono patogeni urinari (ad es. Bacillus, Stafilococchi coagulasi negativi, vari microrganismi ambientali), è importante considerare se potrebbero essere contaminanti. La crescita pura di un microrganismo non comune potrebbe davvero indicare un'infezione causata da quel patogeno, per cui l'ipotesi non può essere completamente accantonata. Tuttavia, non è nemmeno certo che questa crescita sottintenda una sicura infezione da parte di quel patogeno, e non sarebbe indicato l’uso di farmaci di seconda linea in batteri multifarmacoresistenti il cui significato clinico è discutibile; il trattamento empirico con farmaci tradizionali di prima linea potrebbe essere preferibile nonostante risultati colturali contraddittori.
Le cause sottostanti devono essere indagate, poiché è probabile che nella maggior parte dei casi si ritrovi qualche causa scatenante (a volte inafferrabile). È difficile giustificare approfondimenti dettagliati dopo un singolo episodio, ma non sono mai controindicati, e certamente indicati nei casi di malattia ricorrente (Figura 3).
Nell'ultimo decennio, si è verificato un netto cambiamento nell'approccio alla cistite batterica nel cane. Sebbene si usassero comunemente trattamenti di lunga durata (es. 14 giorni), ciò veniva fatto senza evidenza scientifica della durata ottimale. Nell'uomo, sono generalmente raccomandate durate inferiori (es. 3-5 giorni) 28 29, e ci sono poche ragioni per ritenere che nei cani la situazione sia diversa. Le linee guida ISCAID del 2011 raccomandavano 7-10 giorni di trattamento, riportando che durate più brevi erano probabilmente efficaci, sebbene mancasse evidenza sul tema 26. Successivamente, studi scientifici hanno dimostrato un'efficacia paragonabile per trattamenti di durata inferiore rispetto a trattamenti di maggior durate nel cane, come nel caso dell'equivalenza clinica fra tre giorni di trattamento con trimetoprim-sulfadiazina rispetto a 10 giorni di trattamento con cefalessina 3 o di tre giorni di trattamento con enrofloxacina rispetto a 14 giorni con amoxicillina/acido clavulanico 2. Mancano studi caso-controllo randomizzati sul confronto degli outcome dopo l'uso dello stesso medicinale per durate diverse, ma l'evidenza attuale supporta l'uso di regimi di trattamento più brevi rispetto al passato. Pertanto, nell’aggiornamento delle linee guida ISCAID 2019, si raccomandano 3-5 giorni di trattamento per la cistite sporadica 1. Le opzioni antibiotiche di prima linea sono presentate nella Tabella 4. In alcuni casi, possono essere indicati altri antibiotici, in base all’antibiogramma, agli aspetti patologici (es. sospetto di coinvolgimento tissutale, non solo di urina e urotelio), alla tolleranza al farmaco da parte del paziente e alla compliance del proprietario.
Medicinale e regime di dosaggio | Commenti |
---|---|
Amoxicillina 11-15 mg/kg PO ogni 8-12 ore |
Miglior trattamento di prima linea, in quanto la molecola viene escreta nell'urina in concentrazioni elevate. Si raccomanda di utilizzare i breakpoint specifici urinari perché alcuni batteri ritenuti resistenti in base ai livelli sierici sono in realtà sensibili in base ai livelli urinari. |
Amoxicillina-acido clavulanico 12,5-25 mg/kg PO ogni 12 ore |
Non è chiaro se l'acido clavulanico conferisca un vantaggio rispetto alla sola amoxicillina in ambito urinario, poiché i livelli di amoxicillina nell'urina sono elevati. |
Trimetoprim-sulfamidico 15-30 mg/kg PO ogni 12 ore |
Molti aspetti utili lo rendono un'opzione di prima linea, ma i rischi di effetti collaterali lo collocano solitamente a una scelta di linea "1b", quando amoxicillina e amoxicillina/acido clavulanico non sono opzioni valide. |
Tabella 4. Raccomandazioni per il trattamento di prima linea della cistite batterica sporadica*.
* I veterinari dovrebbero considerare le linee guida nazionali per l'uso degli antibiotici, laddove appropriato.
Molti dei punti sopra citati possono essere coperti analizzando alcuni casi clinici.
Meg è un Golden retriever di 8 anni in cui un campione ottenuto per cistocentesi e raccolto durante la visita di controllo annuale ha identificato la presenza di batteriuria. Non presentava segni di malattia delle basse vie urinarie. Aveva in anamnesi una malattia intestinale infiammatoria (IBD) controllata con basse dosi di prednisone (5 mg ogni 24 ore). All’esame delle urine, la batteriuria (>40/hpf) era microscopicamente evidente, accompagnata da lieve piuria (5-10 leucociti/hpf) ma senza ematuria. L'USG era pari a 1.044. Non si evidenziava alcuna alterazione ematologica. La diagnosi era stata quindi di batteriuria subclinica, senza alcun trattamento raccomandato.
Sebbene non siano generalmente raccomandati test clinici di routine nei cani in assenza di segni di malattia delle basse vie urinarie 1, Meg è stata monitorata con esami seriali delle urine, per comprendere meglio il decorso della malattia. Sono stati raccolti campioni di urine su base mensile, quando possibile, per cistocentesi, negli altri casi, i campioni ottenuti per minzione spontanea sono stati trattati entro poche ore ed utilizzando un cut-off >100.000 UFC/ml 27. In un periodo di 8 mesi, in ogni campione di urina è stato isolato E. coli, in presenza di un sedimento urinario infiammatorio, con leucociti ma senza ematuria macro o microscopica. Non sono stati rilevati segni di malattia delle basse vie urinarie (o di qualsiasi altra patologia). Non essendoci alcuna evidenza di malattia, il trattamento non è stato raccomandato, senza comparsa di alcun problema. La causa della batteriuria subclinica non è stata identificata e la cistoscopia sarebbe lo step diagnostico successivo.
Meg è un esempio di batteriuria subclinica persistente. In passato, ognuno degli episodi in cui era stato isolato E. coli avrebbe probabilmente portato a un trattamento antibiotico. Tuttavia, nell'uomo, numerosi dati indicano che il trattamento dei soggetti con batteriuria ma assenza di segni clinici è inutile. In medicina umana si sta cercando ovunque di ridurre i test e il trattamento dei soggetti con batteriuria subclinica. Questo include pazienti con anamnesi cliniche complesse (es. riceventi di trapianto renale e soggetti che non possono segnalare i propri segni clinici, come ad esempio individui paralizzati e pazienti con demenza). Pertanto, poiché Meg non ha alcun problema evidente a causa di questo batterio, non viene trattata.
Molly è un Labradoodle di 4 anni che si presenta per pollachiuria e disuria da circa 24 ore. Molly per il resto è sana, la sua anamnesi medica e l’esame fisico non sono rilevanti. Viene raccolto un campione di urine per minzione spontanea con alterazioni macroscopiche: urine torbide, di colore rossastro e con materiale in sospensione. Il Dipstick rileva ematuria ma nessun’altra anomalia. L'USG è pari a 1.030 e la citologia è suggestiva di cistite, con 50 eritrociti e 20-30 leucociti/hpf. Sono evidenti numerosi batteri a forma di bastoncello e la cistite batterica appare come la causa più probabile. Inoltre, in un cane senza trattamenti antibiotici recenti od ospedalizzazioni, le probabilità di un'infezione resistente sono considerate molto basse. Per questo, l’esecuzione di una cistocentesi con urinocoltura viene discussa con il proprietario ma non fortemente raccomandate. Il proprietario sceglie di non procedere con l’urinocoltura. Viene prescritta amoxicillina (20 mg/kg PO ogni 12 ore) per 4 giorni. Viene anche somministrata una singola dose di meloxicam (0,2 mg/kg PO) per contribuire a controllare il dolore. I segni clinici migliorano entro 24 ore. Pochi giorni dopo l'interruzione degli antibiotici, viene effettuata una chiamata telefonica al proprietario circa il follow-up, nella quale dichiara di non aver riscontrato alcun nuovo problema. Nessun ulteriore segno di malattia delle basse vie urinarie emerge alla successiva visita di controllo di Molly, 6 mesi dopo.
Anche se piuttosto semplicistico, questo caso mostra uno scenario tipico. L’urinocoltura è uno strumento utile, ma meno gratificante quando è di poco aiuto nel formulare la diagnosi (cistite batterica) e quando le probabilità di resistenza ai tipici antibiotici che si possono usare empiricamente sono basse. Questo è vero nella maggior parte dei cani con cistite batterica sporadica e nessuna anamnesi di terapia antibiotica recente od ospedalizzazione. Tuttavia, la coltura non è mai controindicata e sarebbe stata auspicabile in caso di fallimento del trattamento, per cui una discussione sul rapporto costi/benefici dell’urinocoltura è giustificata in tutti i cani con sospetto di cistite batterica.
Frankie è un cane meticcio maschio sterilizzato di 8 anni presentato per pollachiuria e stranguria da almeno 14 giorni. L'esame fisico non è significativo e non ci sono in anamnesi precedenti infezioni delle vie urinarie.
J. Scott Weese
Dato che la cistite batterica sporadica è meno comune nei cani maschi adulti, viene prelevato un campione mediante cistocentesi per analisi delle urine e urinocoltura. Il pH urinario è pari a 8, mentre l'USG è di 1.028. È evidente la presenza di ematuria (100 eritrociti/hpf), con lieve piuria (10 leucociti/hpf). Si rilevano sporadici cocchi e una moderata quantità di cristalli di struvite. Data la preoccupazione per l'urolitiasi da struvite, basata sulla cristalluria, sui cocchi e sul pH urinario elevato, vengono eseguite delle radiografie addominali, che evidenziano la presenza di un urolita compatibile con l'urolitiasi da struvite. Si discutono le opzioni e il proprietario sceglie di tentare il trattamento medico.
Viene scelto un trattamento empirico con amoxicillina (20 mg/kg PO ogni 12 ore), per una durata di 7 giorni. La durata del trattamento, maggiore rispetto a quello di Meg, è dovuta alla presenza dell'urolita, che potrebbe causare maggiore infiammazione della parete vescicale e un ambiente locale più complesso per il trattamento. Tuttavia, una volta controllata la fase attiva della cistite, non vi è alcuna evidenza che siano necessari antibiotici se si pratica la dissoluzione medica dell'urolita 1. Sebbene alcuni veterinari usino antibiotici per tutta la durata del periodo di dissoluzione, non sono disponibili dati a supporto. I dati che indichino l'efficacia della dissoluzione in assenza di antibiotici sono altrettanto carenti; tuttavia, dati aneddotici ottenuti dai veterinari che non usano antibiotici durante il periodo di dissoluzione, pur ottenendo buoni tassi di successo, supportano l'approccio conservativo per quanto riguarda gli antibiotici. Una volta eliminata l'infezione attiva, è difficile giustificare il trattamento, poiché non dovrebbero essere più presenti batteri clinicamente pertinenti. È spesso oggetto di dibattito il potenziale di diffusione dei batteri incorporati nell'urolita durante la sua dissoluzione; tuttavia, sebbene si possano trovare batteri negli uroliti, non esiste alcuna evidenza che si liberi un numero di batteri vitali adeguato a causare successive infezioni.
I risultati colturali ottenuti il giorno 4 evidenziano la presenza di Staphylococcus pseudointermedius in quantità >100.000 UFC/ml. Il batterio è sensibile all'amoxicillina e i segni di malattia delle basse vie urinarie si risolvono rapidamente. Viene prescritta una dieta per la dissoluzione della struvite e, 8 settimane più tardi, l'urolita non è più radiograficamente evidente. Durante l'anno successivo non si sono evidenziati altri episodi di malattia delle basse vie urinarie.
La terminologia utilizzata per classificare la malattia delle basse vie urinarie è importante, perché consente di capire meglio il processo patologico e aiuta la comunicazione, sia tra il proprietario e il veterinario, sia tra veterinari. Quando si utilizza la terminologia corretta, questa può svolgere a sua volta un utile ruolo nel processo decisionale diagnostico e terapeutico in cani con segni urinari. Ulteriori ricerche sul ruolo dei batteri urinari consentiranno di capire meglio la fisiopatologia delle malattie vescicali nel cane.
J. Scott Weese
J. Scott Weese è attualmente professore presso l'Ontario Veterinary College, ed è un microbiologo specializzato in zoonosi e salute pubblica presso il Centre Scopri di più
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