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Le analisi standard di glicemia, elettroliti, equilibrio acido-base, e della chetonemia/chetonuria sono fondamentali nella diagnosi della chetoacidosi diabetica (DKA).
Data l’elevata prevalenza di una malattia concomitante nella DKA, dopo la stabilizzazione iniziale sono essenziali ulteriori test per escludere tali malattie.
Durante il trattamento della DKA i requisiti della fluidoterapia, l’integrazione di elettroliti, e l’insulinoterapia, cambiano tutti in modo dinamico.
La risoluzione della chetoacidosi è l’obiettivo principale dell’insulinoterapia; una volta normalizzate la chetosi e l’acidemia, è possibile pianificare il passaggio all’insulina sottocutanea a lungo termine.
Il diabete mellito (DM) è caratterizzato dall’incapacità del corpo di utilizzare il glucosio, con conseguente fame cellulare e anomalie clinicopatologiche. Questo può essere secondario alla mancata secrezione di insulina (DM di tipo 1) o all’insulinoresistenza (DM di tipo 2). Il DM di tipo 1 è lo scenario più comune nei cani; la sua patogenesi sembra multifattoriale, coinvolgendo predisposizione genetica, meccanismi autoimmuni, fattori ambientali, e malattie insulinoresistenti concomitanti 1.
Quando questi meccanismi si aggravano, si assiste allo sviluppo di iperglicemia grave, chetonemia, anomalie elettrolitiche e dell’equilibrio acido-base, una condizione nota come chetoacidosi diabetica (DKA). Questa, e la sindrome iperosmolare iperglicemica (HHS), sono forme complicate di DM, e sono entrambe emergenze diabetiche, sebbene abbiano caratteristiche, comorbilità sottostanti, e gestione differenti. Questo articolo si concentra sulla DKA nei cani, discutendone la diagnosi, il trattamento e le complicanze.
Quando il glucosio non riesce a entrare nei tessuti corporei, si sviluppano fame cellulare e iperglicemia extracellulare; la situazione è aggravata dall’aumento della gluconeogenesi e della glicogenolisi. Con il tempo, la glicemia (BG) può raggiungere la soglia renale (180-220 mg/dL, 10,0-12,2 mmoL/L), causando una glicosuria con conseguenti perdite di fluidi ed elettroliti dovute alla diuresi osmotica. Come conseguenza dell’uso inefficiente del glucosio, le cellule utilizzano percorsi energetici alternativi, principalmente la lipolisi (Figura 1). La lipasi sensibile agli ormoni stimola l’idrolisi dei trigliceridi a formare acidi grassi liberi (FFA), e questi a loro volta subiscono una beta-ossidazione nei mitocondri epatocitari a formare acetil coenzima A (acetil-CoA). In presenza di ossalacetato, l’acetil-CoA può entrare nel ciclo di Krebs e produrre energia, ma durante la DKA l’ossalacetato viene diretto di preferenza alla gluconeogenesi; quindi, soprattutto quando la produzione di acetil-CoA è eccessiva, questa sostanza si accumula e si combina per formare i corpi chetonici (KB), ovvero acetoacetato (AcAc), beta-idrossibutirrato (BHB) e acetone 2,3.
In piccole quantità, i KB sono una fonte importante di energia, ma il loro eccesso può essere dannoso; essendo acidi forti, la loro dissociazione causa acidosi metabolica. Per mantenere la neutralità elettrica nel siero, i KB caricati negativamente vengono escreti nei reni assieme agli ioni positivi, causando diuresi osmotica e deficit di elettroliti. L’eccessiva produzione di KB e l’iperglicemia grave sono ulteriormente promosse dall’azione di insulinoresistenza dei cosiddetti ormoni controregolatori (glucagone, cortisolo, ormone della crescita, adrenalina), che aumentano in presenza di condizioni di stress e comorbilità. Essi stimolano ulteriormente la gluconeogenesi, la lipolisi, e la glicogenolisi 2,3. Inoltre, l’iperglicemia stessa è riconosciuta come stato pro-infiammatorio che promuove il rilascio di citochine e lo sviluppo di specie reattive dell’ossigeno, promuovendo ulteriormente l’insulinoresistenza 4.
L’acronimo DKA ricorda che la condizione è caratterizzata dall’iperglicemia (come nel diabete mellitus [D], Ketonemia/ketonuria [K], e acidosi metabolica [A] [diabete mellito, chetonemia/chetonuria e acidosi metabolica]) 2,5. Alla presentazione, i pazienti con DKA possono avere una precedente diagnosi di DM, o un’anamnesi coerente con DM (poliuria, polidipsia, polifagia, calo ponderale), nonché segni indicativi di una patologia sottostante o scompenso del DM (vomito, anoressia, letargia, ematuria). La DKA è più comune nei cani di mezza età e oltre, e viene segnalata una certa predisposizione di razza 1,6.
I riscontri clinici possono includere disidratazione, shock ipovolemico, anomalie della frequenza o dello sforzo respiratorio (acidosi o malattia polmonare), dolore addominale, alito acetonico, letargia (o deficit neurologici più gravi), o segni di altre comorbilità (ad es. dermatite, alopecia, otite) 6. Se l’anamnesi e l’esame obiettivo sono indicativi di DM scompensato, è essenziale una banca dati minima che valuti la BG, gli elettroliti, l’equilibrio acido-base e il livello di chetonemia/chetonuria (Figura 2).
D. L’iperglicemia a digiuno persistente è caratteristica del DM (BG normale: 80-120 mg/dL, 4,4-6,6 mmoL/L). Questa può essere misurata rapidamente tramite un glucometro point-of-care (POC) convalidato. Se il valore glicemico supera la soglia dello strumento, si dovrebbe considerare l’emogasanalisi o la diluizione del campione. Quando si utilizza sangue intero per l’analisi, è necessario tenere in considerazione il volume della frazione corpuscolata del sangue del paziente, poiché i glucometri POC sono inaccurati quando i campioni sono emodiluiti ed emoconcentrati 7.
K. Chetonemia e chetonuria sono indicative di eccessiva produzione di KB, e conseguente equilibrio energetico negativo. I KB possono essere misurati tramite un chetonometro POC, o utilizzando strisce reattive per l’urina sensibili al nitroprussiato (usando plasma o urina, sebbene il plasma sia considerato più sensibile). Il test con striscia reattiva è un test semiquantitativo basato sull’interpretazione visiva, e comporta un rischio elevato di risultati falsi positivi e negativi. Le strisce reattive misurano principalmente AcAc, cosa che può comportare una sottostima della chetosi, poiché nella DKA AcAc è meno abbondante di BHB. Inoltre, l’uso della striscia reattiva per l’urina ritarda l’identificazione della risoluzione della DKA, perché l’insulina promuove la conversione di BHB in AcAc, e quindi la lettura della striscia reattiva può ancora suggerire livelli elevati di KB 3,8,9. La chetosi (concentrazione di BHB >0,1 mmoL/L) può svilupparsi anche in caso di pancreatite acuta, inedia, diete a basso contenuto di carboidrati, febbre e gravidanza, ma una concentrazione di BHB superiore a 3,5 mmoL/L è indicativa di DKA, mentre la DKA è considerata improbabile con un valore inferiore a 2,8 mmol/L 9.
A. Nella DKA, l’acidosi metabolica (pH <7,3, bicarbonato <15 mmoL/L) è principalmente secondaria ad accumulo di KB, ipovolemia (acidosi lattica, azotemia sensibile al volume), ipercloremia e uremia. L’accumulo di KB (anioni non misurati) provoca un’acidosi con gap anionico (AG) elevato (AG normale: 12-24 mEq/L).
Quest’ultima lettera dell’acronimo DKA può anche essere un promemoria per le altre due principali “anomalie” di questi pazienti: squilibri elettrolitici e dell’osmolarità, come discusso di seguito.
Fino al 70% dei pazienti con DKA è in stato di DM scompensato a causa di malattie concomitanti che aumentano l’insulinoresistenza; le comorbidità comuni sono pancreatite acuta, infezione batterica delle vie urinarie, e iperadrenocorticismo. Sono stati segnalati inoltre uso di glucocorticoidi, polmonite batterica, malattia uterina, dermatite, nefropatia cronica, pielonefrite, diestro e neoplasia 6,8,9. Pertanto, una volta stabilizzato il paziente, sono necessarie ulteriori indagini (ad es. ematologica, biochimica, analisi dell’urina con coltura, sierologia della lipasi pancreatica, test endocrinologici, diagnostica per immagini) per identificare i possibili fattori scatenanti. La maggiore predisposizione all’infezione secondaria dei pazienti con DM può essere spiegata dalla compromissione dell’adesione, della chemiotassi e della fagocitosi dei neutrofili, come pure dell’attività battericida dell’ospite 10.
I principali squilibri elettrolitici nella DKA coinvolgono potassio, sodio, fosfato e magnesio 6,9.
Il potassio corporeo totale è generalmente depleto nella DKA, ma i livelli possono variare tra i pazienti; inoltre, sebbene con frequenza differente rispetto alla medicina umana, può essere presente iperkaliemia. Ciò può derivare da condizioni come disidratazione e/o ipovolemia, iperosmolarità, ipoinsulinemia (il potassio, come il glucosio, si basa sui trasportatori insulino-dipendenti per entrare nelle cellule), o acidemia (quando gli ioni idrogeno entrano nelle cellule, il potassio esce per mantenere l’elettronegatività cellulare). Dopo il trattamento con insulina (shift del potassio) e la fluidoterapia (effetto di diluizione, correzione dell’acidosi) appare l’ipokaliemia vera e propria. Quando il potassio si accumula a livello extracellulare, può essere facilmente perso a causa della diuresi osmotica. L’ipokaliemia può anche essere aggravata da riduzioni nell’assunzione di cibo, dal vomito e dalla diarrea. Debolezza muscolare, aritmie, stasi gastrointestinale, compromissione della ritenzione idrica renale, e insufficienza respiratoria sono tutte possibili conseguenze dell’ipokaliemia 2,11.
Anche il fosfato corporeo totale viene ridotto dai meccanismi discussi in precedenza, e la situazione viene ulteriormente aggravata dall’insulinoterapia e dalla fluidoterapia. L’ipofosfatemia può causare emolisi, segni neurologici, debolezza muscolare e rabdomiolisi 2,11.
L’ipomagnesiemia è un riscontro comune nei pazienti umani con DKA e, sebbene sia stata segnalata un’alta prevalenza di ipomagnesiemia nei cani in condizioni critiche, non si tratta di un riscontro comune nella sottopopolazione di cani con DKA 6,12. Il magnesio è un cofattore essenziale nelle vie metaboliche deputate alla produzione di energia; l’ipomagnesiemia è legata alla disfunzione cardiovascolare, immunologica, neurologica, e piastrinica, e alle forme refrattarie di ipokaliemia e ipocalcemia. Inoltre, l’ipomagnesiemia è associata a insulinoresistenza e controllo glicemico inadeguato, mentre l’integrazione di magnesio migliora la sensibilità all’insulina 11.
Nella DKA, l’iperglicemia è il fattore principale che contribuisce alla disnatriemia. Nei fluidi biologici, glucosio e sodio sono definiti osmoli reali poiché hanno la capacità di spostare l’acqua attraverso una barriera semipermeabile in relazione alla loro concentrazione (osmolalità reale). La loro importanza è evidenziata dalla formula dell’osmolalità reale (Tabella 1). Nei cani, l’iperosmolalità è definita come un’osmolalità reale superiore a 330 mOsm/kg (range normale: 290-310 mOsm/Kg) 2,13. Nella DKA, il glucosio si accumula nello spazio extracellulare, ed essendo un osmole reale, è capace di attirare l’acqua dalle cellule nello spazio extracellulare, con conseguente disidratazione cellulare e iponatriemia da diluizione, con gli effetti principali che interessano il cervello. Quello che si riduce è la concentrazione di sodio (contenuto di sodio corporeo totale rispetto all’acqua extracellulare) e non il contenuto di sodio totale. Anche la diuresi osmotica, la chetonuria, e le perdite gastrointestinali possono contribuire alla disnatriemia, complicando la stima del contenuto reale di sodio.
Gli strumenti per emogasanalisi rilevano la concentrazione di sodio, che è ingannevole nei pazienti con DKA. Sono state quindi estrapolate formule matematiche per stimare il sodio corretto per il paziente in stato normoglicemico, aggiustandolo in base all’effetto dello shift dei fluidi causato dall’iperglicemia. Queste formule stabiliscono che, per ogni aumento di 100 mg/dL (5,5 mmoL/L) della BG, si ha una diminuzione media del sodio sierico (per diluizione) di 2,4 mmoL/L; questa correlazione non è lineare, e quindi si può utilizzare in alternativa un fattore di correzione di 1,6 per ogni BG fino a 400 mg/dL (22 mmoL/L) e un fattore di 4 per ogni BG superiore a 400 mg/dL 14.
La disnatriemia e l’iperosmolarità possono produrre segni neurologici, che possono manifestarsi alla presentazione o dopo il trattamento. L’edema cerebrale è una complicanza rara in medicina veterinaria, e la sua patogenesi non è chiara; anche se la BG, il sodio e l’osmolalità possono svolgere un ruolo, il danno da riperfusione ischemico, l’infiammazione, e l’aumento della permeabilità vascolare sembrano essere i fattori contribuenti principali 13,15.
Tabella 1. Formule utili 2,11.
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*quantità da somministrare nel giro di 6-24 ore
L’insulina è ovviamente un trattamento essenziale nei pazienti diabetici, ma è altrettanto importante gestire correttamente gli squilibri elettrolitici e acido-base, e il trattamento deve essere adattato al singolo paziente (Riquadro 1).
I pazienti con DKA richiedono normalmente la fluidoterapia a causa delle perdite di fluidi secondarie a diuresi osmotica, ipoinsulinemia, vomito, diarrea, apporto ridotto di liquidi e comorbidità. La gravità della perdita di fluidi è variabile; se il paziente ha una deplezione volumetrica ed è emodinamicamente instabile, è necessaria la rianimazione con fluidi. Se si possono escludere malattie che predispongono all’intolleranza ai fluidi, si consigliano uno o più boli da 10-20 mL/kg nel giro di 15-20 minuti contenenti un cristalloide isotonico, usando come guida gli endpoint della rianimazione. Una volta ripristinato il volume circolante reale, l’obiettivo è correggere la disidratazione (entro 6-24 ore), oltre a fornire fluidi per il mantenimento (aumentato a causa della diuresi osmotica) e controbilanciare le perdite in corso. La rivalutazione frequente (ogni 4-6 ore) delle perdite, accompagnata dalla ricerca di qualsiasi evidenza di deficit o sovraccarico fluidico, come ad esempio variazioni del peso corporeo, è importante per modificare il programma di somministrazione della fluidoterapia 11.
La fluidoterapia migliora l’acidemia, l’iperglicemia e la chetonemia attraverso la diluizione, il miglioramento della velocità di filtrazione glomerulare, l’aumento del flusso ematico, e la riduzione degli ormoni controregolatori. Grazie alla loro capacità di reidratare lo spazio interstiziale e intracellulare, i cristalloidi isotonici sono considerati una buona scelta per i pazienti con DKA; tuttavia, nessuno studio clinico condotto finora ha indicato se i cristalloidi isotonici bilanciati (come ad esempio le soluzioni di Ringer lattato) siano superiori alla soluzione salina 0,9% 2. I fluidi ricchi di cloruro possono causare acidosi metabolica ipercloremica, che può aggravare o ritardare la risoluzione dell’acidemia; inoltre, alcuni studi segnalano un’associazione tra ipercloremia e vasocostrizione renale che può tradursi in una lesione renale acuta 16. La correzione dell’iperglicemia e della natriemia, senza variazioni significative nell’osmolarità, è un altro obiettivo importante del programma di somministrazione della fluidoterapia, e riduce il rischio di edema cerebrale e deficit neurologici. 13,15. Gli studi sull’uomo non hanno fatto emergere un’evidenza di buona qualità tale da suggerire una superiorità tra i vari cristalloidi nel trattamento della DKA. Tuttavia, dati gli effetti benefici dei cristalloidi tamponati verso la soluzione salina allo 0,9% nei pazienti in condizioni critiche, unitamente a una certa evidenza di una risoluzione più rapida della chetoacidosi nella DKA, le soluzioni tamponate sono sempre più raccomandate come fluido sostitutivo di prima linea nella DKA 16,17.
Sara Marella
L’integrazione di bicarbonato è controversa. Sebbene possa migliorare temporaneamente l’acidosi nella DKA, la maggior parte degli studi non segnala miglioramenti nell’esito. Poiché mancano studi che valutino l’integrazione di bicarbonato nei pazienti umani con pH <6,9, molte linee guida per l’uomo ne considerano l’integrazione (nel giro di 2 ore, unitamente all’integrazione di potassio) in questa sottopopolazione e avendo come obiettivo finale un pH pari a 7. Tuttavia, altre fonti consigliano l’uso del bicarbonato solo in caso di acidosi persistente che richieda l’uso di agenti inotropi 5,18.
Uno studio sui cani con DKA ha scoperto un’associazione tra integrazione di bicarbonato e peggioramento dell’esito, sebbene tale peggioramento fosse associato anche all’acidosi 6. La reimmissione del bicarbonato, soprattutto nei pazienti in ipoventilazione, è correlata a molte complicanze: peggioramento dell’ipokaliemia e dell’ipocalcemia, rischio di sovraccarico di volume, acidosi paradossa cerebrale, iperosmolarità, shift a destra della curva dell’ossiemoglobina, edema cerebrale e peggioramento della chetonemia (principalmente per l’aumento dei livelli di AcAc dovuto all’incremento della chetogenesi epatica) 17.
Dati i rischi associati alla sua integrazione, e alla mancanza di benefici in questa popolazione, il bicarbonato viene somministrato di rado.
Emma Donnelly
Nella DKA è comune la deplezione elettrolitica corporea totale, peggiorata dal trattamento con insulina. Pertanto, prima di avviare l’insulina, è necessario correggere queste carenze (Tabella 2). Inizialmente, gli elettroliti vengono monitorati ogni 4-6 ore, aumentando eventualmente gli intervalli al miglioramento dei valori.
Se è presente ipokaliemia, va avviata l’integrazione di potassio tramite infusione a tasso costante (CRI) con una velocità massima di 0,5 mEq/kg/ora. Per l’ipokaliemia grave, possono essere indicati tassi maggiori (con monitoraggio elettrocardiografico) ma l’evidenza è limitata e sono raramente consigliati a causa dei possibili effetti avversi gravi. Se è presente iperkaliemia, l’integrazione di potassio va sospesa fino alla rivalutazione. Se il paziente è normokaliemico, si raccomanda un’integrazione minima 2,5,11,18.
L’integrazione di fosfato di routine ha dimostrato di non migliorare l’esito nei pazienti umani con DKA, e le linee guida consigliano di eseguirla solo in presenza di ipofosfatemia grave 11,17. Ciò richiede una CRI con fosfato di sodio o fosfato di potassio, e la quantità di potassio presente in quest’ultimo deve essere considerata insieme all’integrazione di potassio. Occorre notare che il fosfato è incompatibile con la soluzione di Ringer lattato. In caso di ipokaliemia refrattaria, va considerata l’integrazione di magnesio, come ad esempio solfato di magnesio o cloruro di magnesio.
Tabella 2. Base per l’integrazione di elettroliti 11.
Elettroliti (integrazioni disponibili) | Dosaggio | Note | |
---|---|---|---|
Potassio
Cloruro di potassio (KCl) fosfato di potassio (KPO4) (K → 1 mEq = 1 mmoL) |
Potassio sierico (mEq/L)
< 2
2-2,4
2,5-2,9
3-3,4
3,5-5
|
Integrazione (mEq/kg/ora)
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
|
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Fosfato
Fosfato di potassio (KPO4) (P → 1 mEq = 1 mmoL) |
CRI EV = 0,03-0,12 mmoL/kg/ora |
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Magnesio
Solfato di magnesio (MgSO4) (Mg → 1 mEq = 2 mmoL) |
CRI EV = 0,5-1 mEq/kg ogni 24 ore |
|
L’insulina è essenziale per diminuire la gluconeogenesi, migliorare l’utilizzo del glucosio, come pure per ridurre la produzione e aumentare il metabolismo dei KB. Nel ridurre l’iperglicemia (e quindi l’osmolalità), l’insulina promuove lo shift dei fluidi dallo spazio extracellulare a quello intracellulare, peggiorando l’ipovolemia. Inoltre, provoca shift elettrolitici, smascherando le carenze, ed è per questo che l’insulina viene avviata solo dopo la correzione di queste carenze elettrolitiche (in particolare l’ipokaliemia) e dell’ipovolemia. La fluidoterapia stessa migliora l’iperglicemia, e quindi avviare l’insulina troppo presto può causare un rapido calo della BG. Le linee guida per l’uomo consigliano di iniziare l’insulinoterapia dopo almeno un’ora di fluidoterapia, e con un valore di potassio di almeno 3,3-3,5 mEq/L 5,18. Uno studio condotto nel settore veterinario ha dimostrato che l’avvio dell’insulina entro 6 ore dal ricovero riduce il tempo alla risoluzione della DKA (basato sulla chetonuria) e non aumenta il tasso di complicanze 19. Sebbene questo studio non abbia analizzato l’esito e le complicanze nell’arco temporale di 1-6 ore, può essere accettabile avviare l’insulina prima di quanto si credesse in passato, ma sicuramente solo quando il paziente è stato rianimato con fluidi, e sono migliorate le principali anomalie elettrolitiche, come indicato nelle linee guida per l’uomo.
Si consiglia una CRI di insulina regolare (a breve durata d’azione) dato l’esordio rapido, l’emivita breve, e la facilità di titolazione. Sono preferibili bassi dosaggi, con un tasso iniziale di 0,1 UI/kg/ora 5,11. Tuttavia, possono essere considerati protocolli intramuscolari (IM) a intermittenza, soprattutto per i casi non complicati e dove i proprietari hanno limiti finanziari 20 (Tabella 3). In alternativa all’insulina regolare, sono stati valutati altri tipi di insulina a breve durata d’azione (lispro, insulina aspart) con risultati promettenti 21,22. Alcuni studi sull’uomo consigliano la cosomministrazione di insulina sottocutanea a lunga durata d’azione insieme a una CRI di insulina regolare, al fine di ridurre i fabbisogni di insulina e accelerare la risoluzione della chetoacidosi; questo aiuta inoltre a evitare l’iperglicemia di rimbalzo una volta interrotta l’insulina regolare 23.
La BG va monitorata ogni 1-2 ore durante il protocollo EV, e ogni ora inizialmente per il protocollo IM. La BG dovrebbe diminuire di 50-75 mg/dL/ora (3-4 mmoL/L/ora); le linee guida per l’uomo suggeriscono di aumentare il tasso di insulina di 1 U ogni ora, nel caso che non venga raggiunto questo obiettivo. Non appena la BG raggiunge 200 mg/dL (11,1 mmoL/L), occorre ridurre l’insulina e aggiungere l’integrazione di destrosio (Tabella 3). L’obiettivo è mantenere la BG a 150-200 mg/dL (8-25 mmoL/L), evitando l’ipoglicemia ma continuando con l’insulina fino alla risoluzione della chetosi 5,11. Se il sodio misurato non aumenta in concomitanza con il calo della BG, è necessario modulare la fluidoterapia per ridurre il rischio di edema cerebrale 15.
Una volta risolta la chetoacidosi (AG <10-12 mEq/L, BHB <0,6 mmoL/L, pH >7,3), controllati in modo idoneo i livelli del glucosio, e quando il paziente sta mangiando (o lo farebbe a casa) e bevendo, si avvia l’insulina lenta. Questa ha un esordio ritardato, cosa che richiede una sovrapposizione tra i due protocolli per evitare l’iperglicemia di rimbalzo. Lo standard di riferimento per i cani è l’insulina lenta (ad azione intermedia) suina, alla dose iniziale di 0,25 UI/kg ogni 12 ore; ha un esordio d’azione di circa 3 ore, e il nadir a 4-8 ore 24.
Tabella 3. Protocolli per l’insulina.
CRI di insulina regolare 11 | ||||||||||||||||||
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Insulina regolare IM 20 | ||||||||||||||||||
Rivalutare il calo della BG (monitorare la BG ogni ora):
Quando BG <250 mg/dL (<14 mmoL/L):
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Il monitoraggio e il trattamento sono intrinsecamente collegati nella gestione dei casi di DKA; sono necessari frequenti prelievi di sangue per valutare la BG, gli elettroliti e l’equilibrio acido-base; quindi, una volta stabilizzato emodinamicamente il paziente, è consigliabile inserire un catetere venoso centrale. Ciò riduce lo stress del paziente, consente tempi maggiori di permanenza della linea EV, e una somministrazione più sicura di fluidi a elevata osmolarità.
Un altro strumento utile, soprattutto se la linea endovenosa centrale è controindicata, consiste nell’uso di uno dei vari dispositivi di monitoraggio continuo (rapido) del glucosio interstiziale oggi ampiamente disponibili (Figura 3). Si tratta di piccoli sensori che consentono il monitoraggio continuo tramite un filamento sottocutaneo che misura i livelli di glucosio nel fluido interstiziale. Tali dispositivi riducono lo stress del paziente, il carico di lavoro del personale infermieristico, e forniscono una lettura continua del glucosio interstiziale, anche se sembrano meno accurati nei pazienti disidratati 25.
La presenza di chetosi, acidi grassi liberi (FFA), dolore addominale, nausea o vomito possono ridurre l’assunzione orale nella DKA. Dopo 3 giorni di anoressia, se il paziente è idratato, emodinamicamente stabile, con gli squilibri elettrolitici e acido-base corretti, si consiglia la nutrizione enterale o quella parenterale (la prima viene considerata più fisiologica e più sicura). La nutrizione enterale precoce è associata a un esito migliore nei pazienti in condizioni critiche, e uno studio sull’uomo ha mostrato ricoveri più brevi nei pazienti con DKA in cui la nutrizione enterale veniva avviata entro 24 ore dal ricovero 26. Se è previsto un supporto nutrizionale a breve termine, la scelta cade sui sondini di alimentazione rino-esofagei o rino-gastrici (Figura 4). Sebbene le diete per diabetici abbiano livelli elevati di fibre e carboidrati complessi, l’obiettivo principale nella DKA è fornire una dieta di buona qualità, tenendo anche conto dei fabbisogni della malattia concomitante. Purché l’anoressia non sia prolungata, la nutrizione dovrebbe iniziare fornendo il 25-33% dei fabbisogni energetici a riposo, aumentando gradualmente la quantità ogni 12-24 ore, tenendo in considerazione la tolleranza alla nutrizione del paziente 11.
Il 70% dei cani trattati per DKA viene dimesso con un esito positivo, dopo una mediana di 6 giorni di ricovero. Le complicanze includono ipoglicemia, ipokaliemia, iperglicemia e (raramente) edema cerebrale; inoltre, acidosi grave, pancreatite o iperadrenocorticismo sono associati a un esito peggiore. Affinché la gestione dei pazienti con DKA abbia successo è quindi essenziale includere un monitoraggio rigoroso della glicemia, degli squilibri elettrolitici e acido-base, unitamente alla diagnosi delle comorbilità e un piano di trattamento personalizzato.
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Sara Marella
La Dr.ssa Marella ha studiato all’Università degli Studi di Milano in Italia, lavorando per un periodo come interna nel dipartimento di anestesia e analgesia dell’università Scopri di più
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