Valutazione di laboratorio della funzione epatica
Il fegato è un organo complesso e i biomarcatori che utilizziamo per valutarlo sono sovrapponibili in termini di valore predittivo e utilità clinica.
Pubblicato il 13/12/2024
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Il prelievo di sangue per la valutazione dello stato epatico è all’ordine del giorno nella pratica, ma l’interpretazione dei risultati può essere più difficile di quanto possa sembrare a prima vista.
I risultati degli enzimi epatici vanno sempre interpretati alla luce dell’anamnesi del paziente, dei segni clinici e di ulteriori riscontri diagnostici.
Nella neoplasia epatica, qualsiasi aumento complessivo nell’attività degli enzimi epatici dipende dal grado di danno epatocellulare e/o dall’entità della necrosi tissutale associata alla lesione neoplastica.
Una causa frequente per l’aumento degli enzimi epatici risiede nei medicinali somministrati, in particolare i glucocorticoidi (compresi gli unguenti topici) e i farmaci antiepilettici.
I test di stimolazione degli acidi biliari possono essere un valido indicatore della funzione epatica, ma i risultati vanno interpretati con cautela.
Quasi tutti i Medici Veterinari che si occupano di animali di piccola taglia prelevano campioni di sangue più volte al giorno per valutare i pazienti (Figura 1). Tuttavia, l’interpretazione dei risultati non è sempre semplice, soprattutto quando si tratta dei vari parametri epatici; quindi, può essere utile sapere quali sono i test più validi quando si cerca di formulare una diagnosi o si monitorano determinate condizioni. Questo articolo offre un approccio a domanda e risposta ad alcune delle domande più comuni sugli enzimi epatici.
Tipicamente, è considerato significativo un aumento di due volte nei livelli di alanina aminotransferasi (ALT) e di aspartato aminotransferasi (AST). In termini di fisiopatologia, gli aumenti nelle attività degli enzimi epatocellulari derivano dalla fuoruscita di enzimi dalle cellule (ALT, AST) o dall’induzione degli enzimi (fosfatasi alcalina [ALP]). Tuttavia, i test vanno sempre interpretati alla luce dell’anamnesi del paziente, dei segni clinici e di ulteriori riscontri diagnostici; ad esempio, i risultati possono variare a seconda che sia presente una malattia acuta o cronica. La malattia cronica può essere associata ad atrofia o fibrosi epatica, e di conseguenza l’attività degli enzimi epatici può rientrare nell’intervallo di riferimento o mostrare solo un lieve aumento. Poiché la funzione epatica è compromessa nella malattia grave, la presenza di livelli normali degli enzimi epatici in combinazione con alterazioni nei parametri della funzione epatica (cioè, ipoalbuminemia, diminuzione dell’azoto ureico ematico [BUN], ipoglicemia, iperbilirubinemia, cambiamenti nella concentrazione di colesterolo e trigliceridi, tempi di coagulazione prolungati) costituisce il classico quadro di una malattia grave come ad esempio lo shunt portosistemico. Quindi, la conclusione che un’attività normale degli enzimi epatici sia indicativa di un fegato sano è chiaramente sbagliata. L’interpretazione dei risultati degli enzimi epatici richiede sempre la valutazione concomitante dei parametri della funzione epatica e la loro correlazione con l’anamnesi e i segni clinici del paziente.
I pazienti che hanno uno shunt portosistemico soffrono di anomalie vascolari; ad esempio, una vena del sistema portale è collegata direttamente alla vena cava caudale o alla vena azygos. A causa di questo bypass, il sangue non raggiunge gli epatociti in quantità sufficiente, determinando ipotrofia e atrofia del fegato. La perdita degli epatociti può essere associata a un’ampia varietà di alterazioni di laboratorio. Gli enzimi epatici, come ad esempio l’enzima citosolico ALT, oppure AST, che sono predominanti nei mitocondri epatocitari, possono mostrare livelli normali o aumentati nei pazienti affetti. Tuttavia, se il numero di epatociti si riduce in modo significativo, le cellule restanti potrebbero non rilasciare quantità significative di questi enzimi, producendo così livelli sierici bassi o persino normali. Quando rimane solo il 20-30% della massa epatica, i segni dell’insufficienza epatica diventeranno manifesti. In questi casi, il fegato non riesce più a mantenere le funzioni fisiologiche, con conseguenti alterazioni nel metabolismo dei carboidrati, dei lipidi, delle vitamine e delle proteine, come pure una compromissione della capacità di detossificazione. Le conseguenze di tale insufficienza possono includere ipoglicemia, alterazioni nelle concentrazioni di colesterolo e trigliceridi, iperbilirubinemia, ipoalbuminemia, tempi di coagulazione prolungati, concentrazioni ridotte di urea e aumento degli acidi biliari e/o iperammoniemia. Unitamente a queste alterazioni si possono spesso osservare anemia microcitica e riduzione del peso specifico urinario.
Quindi, qual è il test migliore da utilizzare se si sospetta uno shunt epatico e i test sopra indicati non forniscono una diagnosi chiara? In presenza di insufficienza epatica, è molto preziosa la valutazione degli acidi biliari a digiuno e di quelli postprandiali/stimolati. Se è presente iperbilirubinemia, sono prevedibili concentrazioni aumentate degli acidi biliari, e un test di stimolazione degli acidi biliari potrebbe aggiungere poche altre informazioni utili per il paziente. Il motivo è che le malattie che riducono l’escrezione di bilirubina coniugata dagli epatociti nei canalicoli biliari riducono anche l’escrezione degli acidi biliari, con conseguente aumento delle concentrazioni del parametro.
In presenza di segni neurologici indicativi di un’encefalopatia epatica (ad es. stupor o tremore), è molto utile la valutazione dei livelli di ammoniaca. Tuttavia, è un parametro estremamente delicato, e se i campioni non vengono gestiti correttamente possono emergere facilmente risultati falsamente elevati. La centrifugazione immediata del campione con la separazione delle cellule dal plasma, la misurazione entro un’ora dal prelievo, e la limitazione dell’esposizione all’aria sono tutti fattori molto importanti per limitare la variabilità dei risultati e la possibile conseguente diagnosi errata in un paziente.
Può succedere! Per comprendere quali meccanismi causano un aumento dell’attività enzimatica è utile ripassare la fisiopatologia. Gli enzimi epatici non sono un gruppo omogeneo; in genere, ALT e AST sono considerati “enzimi epatici”, mentre ALP e gamma glutamiltransferasi (GGT), pur essendo spesso incluse in questa categoria, hanno anche origine dalla membrana cellulare delle cellule epiteliali biliari, e sono quindi classici marcatori dei disturbi colestasici intra- o extra-epatici. Aumenti nell’attività di ALT e AST sono solitamente causati da un danno epatocellulare (necrosi) reversibile o irreversibile. Un’ampia varietà di tumori può colpire il fegato; la neoplasia epatica primaria può essere un tumore focale, nodulare (cioè, come la maggior parte dei carcinomi epatocellulari), oppure crescere con un pattern diffuso, infiltrando il tessuto epatico in modo più disseminato. Le lesioni focali possono causare aumenti significativi nell’attività degli enzimi epatici, a causa della grave distruzione epatocellulare e necrosi tissutale. A seconda del grado di colestasi intraepatica, i livelli di ALP possono essere normali o aumentati. Gli infiltrati epatici diffusi dovuti ai tumori a cellule rotonde (ad es. linfoma o mastocitomi) possono non essere associati a un danno epatocellulare significativo, e in tali casi gli enzimi epatici possono quindi mostrare un aumento solo lieve o nullo dell’attività.
Riepilogando, qualsiasi aumento complessivo nell’attività degli enzimi epatici in una neoplasia epatica dipende dal grado del danno epatocellulare e dal successivo rilascio di enzimi e/o dall’entità della necrosi tissutale associata alla lesione neoplastica. Gli infiltrati neoplastici focali o diffusi possono causare un aumento degli enzimi epatici, ma non sempre; quindi, la diagnostica per immagini (ecografia addominale) e gli aspirati ad ago sottile sono importanti passaggi aggiuntivi per identificare la malattia epatica (Figura 2).
Dato che il fegato è l’organo centrale del corpo responsabile della regolazione di molte funzioni metaboliche, le epatopatie secondarie sono un riscontro frequente. Per esempio:
Il fondamento del monitoraggio del diabete mellito è la valutazione dei livelli di glucosio. Tuttavia, i pazienti diabetici mostrano un metabolismo lipidico disturbato e un conseguente aumento di quest’ultimo nel fegato, cosa che rende il monitoraggio degli enzimi epatici un utile strumento per valutare lo stato di malattia. Dal punto di vista citologico si può osservare una steatosi epatica, sebbene questa sia più evidente nei gatti rispetto ai cani. L’accumulo di lipidi negli epatociti causa un danno epatocellulare e si può osservare un aumento nei livelli enzimatici di ALT o di ALP (quest’ultimo è un marcatore particolarmente sensibile per rilevare la lipidosi epatica nei gatti), e un campione di sangue può mostrare una lipemia marcata (Figura 5).
Come descritto sopra, i farmaci anticonvulsivanti, come ad esempio il fenobarbitale, possono indurre la produzione dell’enzima ALP. La valutazione dei livelli di fenobarbitale durante la terapia è importante, poiché livelli farmacologici > 35 µg/mL sono epatotossici; quindi, per un cane sotto trattamento cronico con fenobarbitale, si raccomanda anche il monitoraggio della salute generale del fegato da eseguire due volte all’anno. Come notato sopra, i livelli degli enzimi epatici che rientrano nell’intervallo di riferimento non escludono un’insufficienza epatica significativa; pertanto, se si sospetta una disfunzione epatica in un cane sotto terapia anticonvulsivante, si deve considerare un test di stimolazione degli acidi biliari.
Il fegato non produce solo fattori della coagulazione, ma anche proteine anticoagulanti, come ad esempio, proteina S e proteina C, antitrombina e plasminogeno. Le alterazioni della funzione epatica influenzano quindi la produzione e la funzione delle proteine pro- e anticoagulanti, e il conseguente quadro clinico delle coagulopatie può variare da forme gravi, come ad esempio nel sanguinamento spontaneo, a tempi di coagulazione appena subclinicamente prolungati. È difficile prevedere come reagirà ogni singolo paziente. Tipicamente, è necessaria una profonda riduzione della massa epatica, e la conseguente insufficienza epatica grave, per compromettere significativamente la sintesi dei fattori e delle proteine sopra descritti. Poiché tra tutti i fattori della coagulazione il fattore VII ha l’emivita minima (6 ore), è prevedibile che inizialmente cambi il tempo di protrombina (PT).
In molti casi di sospetta epatopatia, per caratterizzare ulteriormente la natura della malattia è necessario eseguire gli aspirati ad ago sottile o la biopsia epatica; tuttavia, la valutazione dei fattori della coagulazione, come ad esempio PT e tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT) eseguita prima del prelievo bioptico, facilita la valutazione del rischio nei pazienti con insufficienza epatica, sebbene non sia semplice la correlazione dei risultati con le possibili tendenze al sanguinamento clinico. Un forte prolungamento dei tempi di coagulazione può essere associato al sanguinamento spontaneo o quello correlato alla biopsia, ma è stato anche osservato che, talvolta, i tempi di coagulazione sono solo lievemente prolungati o persino normali in questi casi.
Stefanie Klenner-Gastreich
La massima sensibilità nella valutazione degli acidi biliari per l’insufficienza epatica si ottiene eseguendo un test di stimolazione dinamica degli acidi biliari. Ciò comporta la misurazione degli acidi biliari a digiuno (tipicamente dopo un digiuno di 12 ore) e il confronto di questi risultati basali con un campione prelevato 2 ore dopo l’ingestione di cibo a contenuto di grassi moderato. Il consumo di cibo stimola la contrazione della cistifellea e il rilascio di acidi biliari nella circolazione enteroepatica. Sebbene la tempistica della contrazione della cistifellea non sia chiara quando si considera il valore basale, è più probabile che venga stimolata dall’assunzione di cibo e quindi consente di comprendere meglio la funzione epatica.
L’interpretazione dei risultati del test di stimolazione può essere difficile, poiché serve in primo luogo garantire l’ingestione del cibo, e poi occorre escludere le malattie gastrointestinali che possono causare un ritardo nello svuotamento gastrico o un assorbimento ileale ridotto della bile. La contrazione della cistifellea può verificarsi in punti temporali imprevedibili, ed è possibile che non venga rilasciata tutta la bile immagazzinata; oppure, potrebbe capitare che la cistifellea non si riempia completamente di bile dopo il rilascio, cosa che può anche influenzare i risultati. La circolazione enteroepatica degli acidi biliari è ulteriormente influenzata dal metabolismo dei batteri intestinali. Una regola empirica generale nell’interpretazione dei risultati è valutare il massimo valore ottenuto, a prescindere dal fatto che si tratti del campione basale o di quello post-stimolo. Se entrambi i campioni mostrano una concentrazione di acidi biliari > 25 µmol/L ciò supporta la diagnosi di insufficienza epatica. Gli acidi biliari a digiuno possono essere aumentati anche nella colestasi o in altre epatopatie secondarie. Risultati > 50 µmol/L riguardano ancora facilmente una disfunzione correlata a epatopatie primarie. Risultati degli acidi biliari pre- e postprandiali di 20-50 µmol/L sono dubbi e richiedono la ripetizione dell’analisi entro 2-3 settimane, unitamente alla correlazione con altri riscontri di laboratorio e/o con la diagnostica per immagini. Infine, occorre notare che risultati anomali degli acidi biliari possono essere dovuti a varie malattie epatobiliari sottostanti, e costituiscono un riscontro aspecifico.
Dato che praticamente qualsiasi profilo biochimico condotto in un cane include abitualmente una varietà di parametri che possono essere utilizzati per valutare la funzione epatica, è importante sapere quando un risultato anomalo è significativo, e quando invece un risultato che rientra nell’intervallo di riferimento normale non è sufficiente per escludere una potenziale diagnosi. Si consiglia al Medico Veterinario di interpretare sempre i risultati degli enzimi epatici insieme all’anamnesi e ai segni clinici del paziente, e di ripetere determinati test – oltre a cercare anche ulteriori opzioni diagnostiche – quando appropriato.
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Stefanie Klenner-Gastreich
La Dr.ssa Klenner-Gastreich ha conseguito la laurea nel 2004 alla Fondazione dell’University of Veterinary Medicine Hannover in Germania Scopri di più
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